Hold me fast, ‘cause I’m a hopeless wanderer

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È già un anno che sono in AEGEE.

È solo un anno che sono in AEGEE.

La relatività del tempo apre sempre prospettive interessanti. Appagante considerare che ho avuto l’occasione di toccare il suolo di altri 4 paesi europei in un solo anno e sconfortante rendersi conto che per completare l’Europa di anni così ce ne vorrebbero almeno altri 10… sicuramente molto più di quelli che, anche nella migliore delle ipotesi, mi restano a disposizione da spendere nell’ambito dell’associazionismo studentesco.
Ma quest’anno, in fin dei conti… quanto conta?

Ero una bambina che durante i viaggi in macchina lottava per stare sveglia a guardare la strada, e la sensazione di sconforto che mi prendeva nel rendermi conto di aver dormito oltrepassando un casello autostradale la ricordo come uno dei drammi più profondi della mia infanzia. Poco importava quale fosse il casello, era comunque un confine al di là del quale c’era la vita… e bisognava esserci, non si poteva dormire quando iniziava la vita.
Poi credo di aver scoperto le stazioni e in un modo o nell’altro gli aeroporti. Dio, gli aeroporti. Ci avrei potuto vivere dentro, seriamente. Li veneravo. Il senso profondo della vita stava nelle migliaia di persone che andavano, venivano, tornavano. Non aveva alcuna importanza dove, la destinazione era solo una punta di spillo su una carta geografica, tutto ciò che contava era respirare l’idea di viaggio, l’idea di andarsene. Non aveva senso andare in una sola, singola città quando potevi stare in un posto che ti dava l’illusione di essere in tutto il mondo nello stesso momento.
“Potremmo farci una giornata a Venezia” mi propose una volta il mio amore dell’epoca. “All’aeroporto, però” fu la mia risposta immediata. Non mi ci portò mai.

E poi arriva il momento in cui conosco AEGEE.
Che romantica, la prima volta. Prenotare i viaggi andata e ritorno nelle date esatte di inizio e fine evento, studiare in anticipo tutti i collegamenti da e per l’aeroporto e il centro città, essere sicuri di sapere esattamente cosa, quando, dove, come e perché di tutto, attivarsi le offerte per internet all’estero perché boh, chi lo sa se ci sono i wifi.
Si cambia in fretta, dopo. Arriva il momento in cui il volo di ritorno te lo prenoti con calma per un paio di giorni dopo la fine dell’evento, oppure non te lo prenoti affatto. “Ma e cosa fai? Dove dormi quelle notti in più?” “Ah non lo so, ci sarà di sicuro qualcuno che resta, quando siamo lì vediamo.” “E se non resta nessuno?” “Eh vabbè, da qualche parte si va.” “Mi scrivi quando arrivi?” “No, ti scrivo quando trovo un wifi.” “E se non lo trovi?” “Se non mi senti sono viva di sicuro, perché se succede qualcosa hanno il tuo numero e chiamano te.”
Conosci gente che i voli non li controlla neppure più. “Siamo arrivati in autostop, eravamo partiti 3 giorni prima perché non sapevamo quanto ci avremmo messo, poi ci abbiamo messo solo un giorno e quindi abbiamo vagato a caso per altri due giorni.”

Non ti dai pace se prima di partire per un evento non hai già pensato a quale sarà quello successivo – sì, onestamente, conviene pensarci già prima di partire per quello precedente, perché nello stato di disperazione post-ritorno non avrai mai la lucidità per programmare il viaggio successivo senza danneggiare il resto della tua vita. “Oh che bello, due settimane in Azerbaijan che coincidono esattamente con la sessione di laurea di settembre… vabbè, quella di novembre esiste per un motivo.”

E “il resto della tua vita”, cos’è? Quella che vivi quando torni? Ma si torna, poi? I pezzi di cuore inizi a seminarli in giro, nei posti e nelle persone che incontri, e quelli sicuramente non li recuperi più. È il dramma della fine dei primi eventi, quando davvero non ci credi alla tanto ripetuta promessa “See you somewhere in Europe” e ti ritrovi in aeroporto con le lacrime agli occhi e la morte nel cuore, che non è più neppure intero.
Poi, dopo 3 o 4 eventi, ti accorgi che le persone prima o poi le rivedi davvero, alcune anche più frequentemente degli amici del liceo che non vedi più da quando hai iniziato la vita da fuori sede – e perché tornare a casa poi, quando 200 km di Trenitalia sono più costosi e più lunghi di 1000 con Ryanair?

E il “tornare a casa”, poi. Altra bella questione. Si raggiunge uno stato di grazia, dopo un certo numero di eventi AEGEE, in cui siedi in aeroporto aspettando il volo di ritorno a casa e non hai minimamente la sensazione di star ritornando da nessuna parte, perché ci sei già. Prendere un volo Cluj-Napoca/Bologna ti fa lo stesso effetto di prendere la linea urbana di Udine. Non esistono più andate e ritorni, partenze e destinazioni, sono solo spostamenti all’interno di un non-luogo, perché la casa ce l’hai sia dentro sia fuori, ed è molto, molto più grande di quattro mura: Las Palmas è la cucina, Helsinki il soggiorno, Samara la camera da letto, Heraklio il balcone e le persone che vanno e vengono sono la tua famiglia, anche se di alcune conosci solo il nome, anzi, solo come suona il nome, perché di fatto poi non sapresti nemmeno scriverlo correttamente.

Alla fine è questa, l’anima di AEGEE: rendersi conto che davvero, per quanto retorico possa sembrare, “some call it Europe, we call it Home.”

Anna Bortoletto, AEGEE-Udine